
Come fare cose con le parole
I teorici degli "atti linguistici", come John Austin (1911-1960), John Searle, Paul Grice (1913-1918) e Ludwig Wittgenstein (1889-1951) spostarono l'attenzione della filosofia del linguaggio dallo “studio del significato delle parole” all'uso che ne facciamo. La prima opera "Atti linguistici" (1969) di Searle venne molto influenzata da Austin, ma il suo scopo primario era di fornire una tassonomia generale degli atti linguistici: Se il contenuto proposizionale è lo stesso ("Andrés beve la birra abitualmente") la forza potrebbe differire in base al background, a seconda se una frase è un'affermazione, una domanda ("Andrés beve la birra abitualmente?"), un ordine o l'espressione di un desiderio ("Vorrei che Andrés bevesse la birra abitualmente").Da questo ultimo punto risulta chiaro che per Searle un atto illocutorio sia un "atto comunicativo intenzionale". L’intenzionalità dell’azioneIniziamo a notare come Searle dalla teoria degli "atti linguistici" perviene al concetto di “intenzione”, che sarebbe cruciale per la descrizione di un "atto", in quanto si riferirebbe sempre alle "intenzioni" del parlante. • La prima è focalizzata sul rapporto mondo-mente Ad esempio, quando raccogliamo un fiore, la nostra intenzione sarebbe quella di adattare il mondo al nostro stato mentale ed ecco perché avremo una direzione d’adattamento mondo-mente. Al contrario quando vediamo un fiore, il nostro stato mentale è disposto per esser "adattato" allo stato del mondo e avremmo quindi una "direzione d’adattamento" mente-mondo.
L’intenzionalità sarebbe quindi per Searle una proprietà "intrinseca" e "irriducibile" della nostra mente e andrebbe considerata come un 'fenomeno primitivo’ in base alla quale analizzare i problemi inerenti alle espressioni di desiderio, all'azione e alla causalità. La coscienzaL'indagine sull'intenzionalità e la coscienza non potevano che condurre Searle ad attaccare l'intelligenza artificiale forte, posizione critica che verrà esposta in "Mente, cervelli e programmi" (1984). Searle, attraverso il famoso esperimento mentale della stanza cinese, dimostra che le macchine sono solo in grado di manipolare i simboli (sintassi), ma non sono in grado di interpretarli (semantica) e quindi di produrre significato.
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